Depressione, a rischio chi lavora troppo?

Chi lavora regolarmente più di 11 ore al giorno potrebbe, secondo una ricerca, ammalarsi più facilmente di depressione

Depressione, a rischio chi lavora troppo?

Chi lavora troppo è realmente a rischio di depressione? Questa particolare condizione psicologica è spesso messa in relazione a numerosi aspetti, ma piuttosto raramente viene raffrontata all’attività professionale, o meglio alla quantità di ore dedicate al lavoro.

 

Relativamente a tale domanda è interessante citare una ricerca autorevole condotta da Marianna Virtanen del Finnish Institute of Occupational Health e dell'University College di Londra: in questa ricerca è stato considerato un campione di 2.000 lavoratori, esattamente dei dipendenti pubblici britannici, e la presenza di casi depressivi è stata messa in relazione con le ore di lavoro superiori al cosiddetto “full-time”.

 

Questa particolare condizione professionale può essere definita “super lavoro”, e quando emerso dalla ricerca in questione risulta inequivocabile: le persone che lavorano 10 e più ore al giorno, rispetto alle 7-8 ore che rappresentano la normalità per quanto riguarda il full-time, hanno una probabilità di sviluppare degli stati depressivi notevolmente più elevata rispetto a chi svolge una vita professionalmente regolare.

 

Chi ha realizzato questa ricerca, inoltre, ha evidenziato come gli studi analoghi effettuati in precedenza relativamente a tale possibile legame tra super lavoro e depressione erano di difficile interpretazione, dal momento che il concetto di “super lavoro” non era quantitativamente standardizzato.

 

A tal riguardo è certamente molto utile sottolineare che, in Italia, la legge stabilisce che il contratto di lavoro full-time, dunque a tempo pieno, debba caratterizzarsi per 40 ore lavorative settimanali da distribuirsi nell’arco dei 7 giorni.

 

Il contratto di lavoro part-time prevede esattamente la metà delle ore, dunque 20 ore settimanali, senza ovviamente dimenticare le forme di contratto che prevedono un numero di ore intermedio.

 

Tutto ciò che eccede rispetto alle 40 ore settimanali, dunque, è da considerarsi straordinario; nella grande maggioranza dei casi nelle grandi aziende e nell’impiego pubblico non vi sono problemi da questo punto di vista, nel senso che le ore realmente eccedenti rispetto al monte previsto sono regolarmente riconosciute come tali.

 

In molte aziende private, soprattutto di piccole dimensioni, il lavoratore ha in genere maggiore debolezza nei confronti del datore di lavoro, di conseguenza non esiste un orario rigido in cui viene abbandonato l’ufficio o il luogo di lavoro.

 

Bisogna esser realisti, ovviamente: sono ben pochi i lavori in cui, nonappena scocca l’orario che sancisce la fine del proprio turno, si abbandona immediatamente il posto di lavoro, e non vi è nulla di strano se un impiegato, ad esempio, si sofferma mezz’ora in più in ufficio per fare ordine tra le proprie pratiche, oppure, saltuariamente, che scelga di effettuare delle ore extra per agevolare il proprio lavoro successivo.

 

In molte realtà, in cui non vi è un cartellino da timbrare, datori di lavoro con pochi scrupoli "marciano" su questa situazione e fanno sistematicamente in modo che i propri dipendenti eccedano tutti i giorni rispetto al normale orario di lavoro full-time, o comunque rispetto a quanto stabilito dal contratto.

 

Si tratta, è evidente, di un qualcosa di illegale, oltre che di eticamente scorretto, tuttavia le debolezza contrattuale dei lavoratori strettamente legata alla crisi economica ed alla diffusa disoccupazione, nonché il fatto che le ispezioni relative al lavoro non possono rivelarsi estremamente capillari, rendono questa realtà tutt’altro che inconsueta nel nostro paese.

 

Ma che cosa accade se una persona supera in modo notevole le 40 ore di lavoro settimanali, toccando anche 50 o 60 ore ogni settimana?

 

Sulla base di quanto evidenziato da tale ricerca, la possibilità che possano insorgere degli stati depressivi diviene molto più elevata, allo stesso tempo, ovviamente, la persona tende inevitabilmente a sviluppare una sensazione di profondo malessere che non di rado può sfociare in problemi fisici.

 

E’ stato provato con numerose ricerche, inoltre, il fatto che una persona che dedica troppo tempo al lavoro tende a divenire molto meno produttiva, ed ovviamente non è possibile reggere in modo continuativo ritmi lavorativi forsennati; paradossalmente, dunque, nel lungo periodo una politica di questo tipo può rivelarsi perfino dannosa nei confronti dello stesso imprenditore.

 

Lavorare in modo eccessivo, ovviamente, toglie alla persona il tempo di godersi gli affetti, la famiglia, di praticare una sana attività sportiva, nonché anche di riposare in modo adeguato durante la notte: le persone che praticano il cosiddetto super lavoro, infatti, sono molto più esposte al rischio di ridurre in modo poco salutare il numero di ore di sonno giornaliero, con tutti i danni che ne derivano nei confronti della salute.

 

Ovviamente, il super lavoro non riguarda esclusivamente il lavoro dipendente, ma anche la libera professione: sebbene in questo tipo di lavoro si abbia il vantaggio di poter gestire con maggiore flessibilità i propri tempi, dedicare una quantità eccessiva di ore settimanali al lavoro può allo stesso modo procurare dei problemi a livello di salute e di benessere.

 

Insomma, se si lavora in modo eccessivo il rischio di divenire depressi è più alto, ma, verrebbe da aggiungere, ciò è assolutamente normale.

 

Per avere una buona qualità della vita il lavoro non può e non deve occupare l’intera esistenza, di conseguenza la persona che dedica un numero di ore molto superiore rispetto al canonico full-time rischia seriamente di risentirne in modo poliedrico, non solo dal punto di vista psicologico, ma anche a livello puramente fisico.





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